L'eco della rivoluzione francese, arrivata
ad Arzignano con un certo ritardo, il 9
giugno 1796, ad opera di quattro giovani al
grido "libertà! libertà!", trovò
indifferente la popolazione, interessata
maggiormente alle note rivalità Monte-Piano.
Ciò non impedì che, pur in questo clima
conflittuale, il 27 maggio 1797, venissero
innalzati due alberi della libertà, uno al
Piano e l'altro al Monte, nell'interno del
castello.
Con il mutato regime anche ad Arzignano ci
fu il relativo passaggio dei poteri e,
mentre "la riche et agréabìe bourgade d'Arzignano"
attendeva il riconoscimento del suo invocato
diritto di autonomia, i municipalisti del
castello ricorsero presso il generale
francese Joubert per ottenere l'unità
municipale. Ma la riunificazione, chiesta
anche agli austriaci dopo il trattato di
Campoformio, non fu mai concessa.
La Rocca del castello, abituale residenza
del vicario e, con la pieve, simbolo delle
prerogative del Monte, durante la
dominazione napoleonica prima e austriaca
poi, andò perdendo definitivamente ruolo ed
importanza, requisita, come, del resto,
altri edifici del Piano, per dare alloggio
alle truppe.
Quando, nel 1836, l'arciprete di castello
don Paolo Menin, nativo di Chiampo, iniziò
la costruzione della nuova chiesa, risiedeva
nell'antica Rocca e quindi, già da qualche
anno, doveva aver abbandonata "la casa
canonica in rovina" prospiciente la piazza
del campanile.
Ancora una volta il "glorioso maniero" subì,
allora, gli adattamenti necessari al nuovo
inquilino che, senza insegne nobiliari,
abbracciò, da vero pastore, lo stile di vita
dei numerosi contadini che popolavano le
colline circostanti. Di conseguenza
l'interno del castello fu negli anni
trasformato al punto che il suo insieme
venne quasi ad assomigliare più ad
un'abitazione rurale che ad un castello. |