Non possiamo ora ignorare due episodi che
lacerarono la comunità arzignanese al suo interno. Il primo è la
rivolta dei pauperes, nel 1655, contro i
benestanti e l'amministrazione comunale,
sfociata poi in una ribellione totale contro Venezia e il vicario,
rappresentante in loco del potere centrale.
Alcune famiglie che, tramite fruttuosi
investimenti, da tempo avevano acquisito potenza e prestigio, con metodi
disinvolti, compiacenti gli amministratori, riuscirono ad indebitarsi con il
comune, causa le loro operazioni
finanziarie, senza però restituire le somme
dovute. Preoccupate della situazione divenuta incontrollabile, le
autorità di Vicenza chiesero aiuto a
Venezia: la Serenissima inviò il podestà di
Padova Alvise Priuli per gli "opportuni rimedi". Egli, sgomberato il
castello occupato dai rivoltosi e fatte loro deporre le armi, emanò provvedimenti
immediati volti a risanare le
casse della comunità. Ma le resistenze a
dare esecuzione alle prescrizioni
del Priuli incominciarono subito.
L'altro episodio, avvenuto nel febbraio
1794, più che segnare la conclusione di uno spinoso problema sociale e
religioso, rimane chiaro sintomo
della tensione mai sopita tra gli abitanti
del Piano, desiderosi di una completa autonomia parrocchiale, e quelli del
Monte, meno dotati economicamente, ma fieri di appartenere alla chiesa
madre e mal disposti a vederne
sminuita la supremazia. Dal lontano 1594,
quando la comunità di Ognissanti ottenne il primo segno di indipendenza
con la concessione del registro dei battezzati, le liti erano state
aspre, spesso prive di cristiana carità:
proprio nel ricordato febbraio 1794 la rocca
tornò ad essere, ancora una
volta sia pure per pochi giorni, un baluardo
difensivo di una battaglia per
il proprio campanile.
Dopo animate discussioni locali, finalmente
Venezia aveva deciso per
un'equa rappresentanza degli abitanti del
Piano nel governo del comune e
con un decreto dogale, detto ascolto, aveva
dato disposizioni per la loro libera nomina nelle elezioni comunali. La
conseguente effusione di gioia,
certamente smodata, accompagnata dal suono
delle campane, dal canto del Te Deum e dai gonfaloni in piazza, fece
scoppiare i risentimenti e i sospetti degli abitanti del Monte i quali,
"con schioppi, forche e roncole", iniziarono una vera e propria guerriglia, proseguita
senza esclusione di colpi da
ambo le parti mentre la rocca venne
presidiata onde proteggerla dalle
eventuali incursioni diurne e notturne. Nei
tafferugli ci fu un morto, Matteo Cielo e, tra i numerosi feriti, Domenico
Meneghini non riuscì a sopravvivere. Dopo inutili tentativi di mediazione
dell'arciprete, dei frati, del podestà e dei governatori, solo gli abili
inviati dal capitanio di Vicenza, i conti Leonardo e Nicolo Bissari, riuscirono ad
ottenere un'apparente pace,
meglio una tregua. |