La Rocca di
Castello ha vissuto un pacifico assedio domenica pomeriggio per
l'inaugurazione della mostra "Poesia della memoria contadina",
sculture in ferro dell'artista Angelo Gilberto Perlotto di Trissino.
Quando lo scrittore Mario Rigoni Stern ha varcato il portone che immette
ai cortili e allo scalone d'onore è stato un lungo applauso liberatorio
dopo l'attesa festosa. Pomeriggio ricco di emozioni. Poi il parlare
quasi concitato intorno al mistero della "Valigia
dell'emigrante", uno degli oggetti realizzati da Perlotto, che, a
dire di chi ha allestito con molta cura la mostra nel salone del terzo
piano del maniero, non si fa mai trovare nella posizione destinata, come
se venisse spostata da mani invisibili. Infine la meravigliosa scoperta
degli ampi spazi che il castello offre dopo il restauro durati due anni
su progetto dell'architetto Renata Fochesato. Mario Rigoni Stern ha
esordito esprimendo la felicità per la neve che poche ore prima aveva
imbiancato il Pasubio, l'Ortigara, il Carega, sorpresa perfino
inebriante della prima domenica di giugno, come nel tempo delle mai
dimenticate "burrasche dei cavalieri", i bachi da seta che
proprio a partire dalla fine di maggio venivano "coltivati"
sulle colline e nelle campagne vicentine. E lo scrittore si è lasciato
andare subito a una specie di poetica elencazione degli attrezzi, delle
cose da portico, da cucina, da stalla, insomma tutto ciò che rischia di
essere dimenticato e che lo scultore trissinese ha idealmente fermato
nel ferro per una meditazione commossa. Prima c'era stato il benvenuto
proposto dall'assessore alla cultura dottor Antonio De Sanctis, presenti
i sindaci di Arzignano e di Trissino e di Gambellara, cui ha fatto
seguito la lettura molto indovinata di alcuni passi di "Inverni
lontani". Infine, ecco le ispirate parole dello scrittore che ha
mostrato di trovarsi nella situazione ideale per un incontro con tanta
gente delle valli del Chiampo e dell'Agno, complice la dolce memoria di
una civiltà rurale non del tutto perduta. La visita alla mostra l'ha
aperta lui , sostando con affettuosa ammirazione davanti a ogni opera.
"Si sente l'odore del tabacco", ha detto la pipa adagiata su
un ripiano di pietra. "Queste sono le pieghe della fatica e
dell'amore", ha sussurrato davanti al grande tabarro appeso
nell'angolo tra l'ombrello nero e il cappellaccio. Poi ha giocato sulle
vocali dell'arconcello, il bigòlo, che nel dialetto vicentino si
pronuncia anche con la prima "o" stretta e addirittura, verso
levante, con la elle evanescente. Ventuno "pezzi" realizzati
in grandezza naturale, con cura estrema dei particolari, comprese le
indimenticabili sgalmare, "i nobili calzari della povertà"
con il fondo di legno, come ha scritto il poeta Adelmo Dalla Valle,
arzignanese, che verrà ricordato con una serata, sempre a Castello,
prima che si concluda la mostra, la sera di giovedì 21 giugno prossimo.
E davanti ala Valigia dell'emigrante; pensando alle centinaia e
centinaia di veneti, anche di arzignanesi, partiti per terre lontane, lo
scrittore di Asiago, con la consueta affabilità, ha detto che
"saranno i pensieri della nostalgia a farla muovere quasi a volare
nelle notti arcane della Rocca". Gli era accanto, sorridente e per
nulla preoccuppato, l'arciprete Don Alvidio Bisognin unico abitante del castello,
dato che da moltissimi anni è la canonica della parrocchia. E a sera,
per completare l'intenso pomeriggio culturale, nel teatro Mattarello
gremito, La Piccionaia di Vicenza ha proposto la versione teatrale di
"Le stagioni di Giacomo". Realizzato da Titino Carrara e Carlo
Presotto, con Paola Rossi e Patricia Zanco accanto allo stesso Presotto,
ha ottenuto un vibrante successo, con numerose entusiastiche chiamate
alla fine. Mario Rigoni Stern, che doveva introdurre lo spettacolo -
come si dice in gergo "fare la spiega" -, ha lasciato il
compito agli amici arzignanesi per correre al suo altipiano prima del
buio e godere un'altra volta, da vicino, la meravigliosa neve di giugno.
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