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L'arciprete e l'architetto

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E' spesso così: noi, i nostri sacerdoti, li lasciamo soli. Eppure una buona maggioranza di loro gradirebbe intorno una presenza amichevole, una collaborazione disinteressata, una partecipazione non limitata alle consuete scadenze della vita parrocchiale.

Don Alvidio Bisognin, arciprete di Castello, si trova dentro la grande avventura del Giubileo da qualche anno, da quando a chiesto allo Stato il sostegno per il restauro della Rocca-canonica e del convento di Santa Maria. La Rocca era in condizioni preoccupanti e il convento, esclusa la parte abitata dalle famiglie Mistrorigo, stava ammuffendo tra i cipressi e i grandi alberi del parco. L'occasione del contributo statale è stata sostenuta da una richiesta documentatissima e intelligente, ad opera dell'architetto Renata Fochesato. E se lo Stato ha elargito i fondi per il Giubileo lo si deve esclusivamente alle motivazioni espresse in questa richiesta che a Roma non ha avuto alcun appoggio esterno al Ministero preposto, tantomeno da Vicenza, dove ha trovato perfino delle opposizioni, delle sciocche gelosie e, ancora peggio, delle poco cristiane derisioni. Che si sappia! Così don Bisognin è rimasto subito solo con le sue carte, con le sue scadenze, con le sue speranze; solo nel suo nuovo, immenso impegno davanti alla sua gente. Anche l'amministrazione comunale, che inizialmente aveva promosso il restauro di Castello attraverso le vie ordinarie, si è messa giustamente in disparte davanti alla grossa operazione della Rocca e del convento, operazione che apriva un rapporto diretto tra la parrocchia e il Governo di Roma.

Così, nella Valle del Chiampo, dopo le comprensibili proteste degli esclusi dalle assegnazioni nazionali, intorno all'arciprete Bisognin e all'architetto Fochesato si è allargato una specie di vuoto meravigliato e attendista, quasi una imprevedibile resistenza psicologica, una malcelata diffidenza, perfino il sospetto di protezioni, di raccomandazioni, alimentando un chiacchierio da bar, ma anche da sacrestia e da salotto, che li ha lasciati soli.

E se una vivace e illuminata professionista come la Fochesato può trovare cento e cento  motivazioni di operatività continua e di collaborazione, anche tra le ottime maestranze dell'Impresa Appaltatrice, il parroco - che può aver bisogno di consensi quotidiani per una realizzazione, attesa sì, ma non nelle proporzioni subito apparse considerevoli - rimane con l'angoscia di non essere stato pienamente compreso dalla sua gente, dai superiori, anche dagli amici più cari.

Ma ora è venuto il tempo di aprire le porte, di attrezzare le sale. Che gli amici collaborino secondo le varie capacità; che i colleghi sacerdoti credano e si rassicurino; che la Valle capisca e partecipi, ma tutta la Valle, dalla buona gente di Montebello ai solidi uomini di Marana e di Durlo, passando naturalmente dalla Pieve Francescana di Chiampo.

Ma che capiscano anche a Vicenza, finalmente. Che non ci siano, per carità, i Giubilei rivali per una visione localistica e solamente turistica.

Davanti al mondo e alla storia abbiamo già fatto delle brutte figure con la voglia immotivata delle autonomie e delle chiusure mentali. Il Giubileo ci fa capire soprattutto che è tempo di credere veramente, di agire da cristiani aprendo le braccia al mondo; ci dice che è tempo di uscire dalla politica ridotta a carnevale e di abbandonare per sempre la banalità di certe sagre paesane.

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