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Articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza il 22 maggio 2005
in occasione del primo FESTIVAL BIBLICO

Turoldo, la sfida dei salmi

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Si aprirà mercoledì 25 maggio, "I sensi delle Scritture", il primo Festival biblico tra vie, corti e piazze, che proseguirà fino a sabato 28. La giornata inaugurale di mercoledì vivrà due momenti distinti, entrambi però in cattedrale. Alle 18, il biblista G. Ravasi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, terrà una conferenza appunto su "I sensi delle Scritture". Alle 21, toccherà a Salmi, Inni e Cantici per l'assemblea liturgica nella versione poetica di padre David Maria Turoldo con le musiche di Ismaele Passoni e Bepi De Marzi. Partecipano sei cori vicentini e veronesi, all'organo Francesco Finotti. Allo stesso De Marzi abbiamo chiesto di spiegare l'iniziativa.

 

Non ci saranno posti riservati, mercoledì sera, in cattedrale. "L'Assemblea
Orante" non prevede distinzioni, privilegi, o peggio, raccomandazioni. Si canterà per il tempo delle giuste emozioni. Si pregherà, soprattutto. «Che il popolo canti!», diceva il vescovo Rodolfi. Ma talvolta vien da dire: «Quale popolo? Non vedete le chiese vuote? Dove sarà mai andato, questo popolo che dovrebbe intonare la poesia della fede, la felicità di credere?».

La stupenda intuizione di padre David Maria Turoldo è stata quella di ricostruire i salmi in forma strofica, come sono stati pensati i grandi corali delle altre Chiese europee. Ed ecco che l'inizio del salmo 41: "Come un cervo anela a ruscelli di acque" si inebria nell'endecasillabo "Come una cerva sospira alle fonti"; ecco il finale del salmo 22: "...ritornerò nella dimora del Signore per giorni senza fine" liberare i decasillabi "io starò nella casa di Dio / lungo tutto il migrare dei giorni".

Canteremo tutti. E pregheremo. Chi arriva presto siederà davanti, dove di solito si mettono le autorità che mai cantano e mai pregano, che nelle messe, ma anche nei concerti, guardano l'orologio con malcelata impazienza. Ma non sarà, no, non sarà un concerto. Sulla gradinata che si innalza al presbiterio ci saranno duecento voci che canteranno al-l'unisono sostenute dall'arte organistica di Francesco Finotti. Da Asiago scenderà il coro parrocchiale del duomo, dove il salmi, gli inni, i cantici di Turoldo, proposti da Andrea Pinaroli, vengono intonati da molto tempo nelle liturgie. Ci sarà la Cappella Monteberico di padre Ruggero Pitton, che nei concerti polifonici inserisce spesso la trasparenza della poesia turoldiana, la sola capace di coinvolgere e di commuovere. Da Colognola ai Colli, all'imbocco della Valle d'Illasi, verrà il gruppo parrocchiale condotto da Eliana Lerco di San Zeno, "la Pieve campestre della tenerezza", dove padre David andava spesso a cercare conforto dagli attacchi anche violenti dei suoi detrattori. Ed è stata, la sua, una lunga stagione di sofferenze, di tormenti, di incomprensioni, di persecuzioni non ancora finite. Dalla Lessinia, la montagna veronese, proprio da Velo, verranno le ragazze e ragazzi del vivacissimo Coro La Falìa con la creativa direziono di Alessandro Anderloni, commediografo, regista, scrittore e poeta. Dalla città di Verona verranno i quaranta giovani del Coro la Cordata, che con la direzione di Francesco Peruch, violoncellista di speranza, hanno portato ovunque il cantare disteso dell'arte e della fede, fino a Nomadelfia poco tempo fa, nel miracolo mai concluso di don Zeno Saltini. E ci saranno i miei forti Crodaioli.

Proseguiremo così, idealmente, dalle alte, sapienti e illuminanti parole di monsignor Ravasi che nel pomeriggio, sempre in cattedrale, inviterà Vicenza ai giorni intensi della Bibbia.

Ismaele Passoni, giovane intellettuale bergamasco, lavorava a far melodie nuove e profondamente ispirate sulle poetiche strofe turoldiane. Erano gli anni Settanta. L'ufficialità musicale lombarda pareva non accettare la novità di quel cantare in melodia chiusa, facilmente memoriz-zabile, che proseguiva dalla migliore tradizione liturgica, mentre intorno si salmeggiava nei recitativi solistici con traduzioni impossibili, mentre nel dopo-Concilio arrivavano da ogni dove le invenzioni musicali più strampalate che ancora, purtroppo, resistono oltre il decoro e soprattutto oltre il buonsenso. Una sera che padre David concelebrava la messa a Bergamo con il vescovo Gaddi, sentendo un coro che cantava "Resta con noi, non ci lasciar, la notte mai più scenderà. .. ", disse sottovoce: «Che testi, Dio mio, che testi». E il coraggioso vescovo, che più volte lo aveva aiutato e difeso, rispose: «No che testi: che teste!».

Un altro giorno di quegli anni, che a Monte Berico, in un'animata tavola rotonda, il vescovo Zinato discuteva con monsignor Dalla Libera sulla scelta dei nuovi canti per la messa, anche sulla loro durata, mi alzai a dire che se le prediche fossero state meno lunghe, più misurate, meno torrenziali e meno dispersive, ci sarebbe stato lo spazio ideale per cantare e pregare. Il battagliero monsignor Dalla Libera sottolineò subito, allora, il lontano invito del vescovo Rodolfi alla diocesi vicentina e all'Italia: «Che il popolo canti». C'era anche padre Turoldo, che mi invitò a Sotto il Monte per affiancare Passoni nel lavoro musicale. Veniva, padre David, dal Capitolo dei Servi di Maria. A un amico aveva confidato: «Se non imparo a trattenermi, qui mi fanno fare el salto del sbiro».

E stato un lungo tempo di speranza, di felicità. Di illusioni? David, nelle sere operose, citava spesso agli amici una frase di Goffredo Parise: «La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei: non bada ai nostri programmi». Lassù, a Sant'Egidio, la poesia correva sulle stagioni, la si respirava nel profumo del fieno, nel silenzio dei boschi, nella festosità dell'uva, delle castagne, nel miracolo della neve. E si cantava "Resta con noi, Signore, la sera, quando le ombre si mettono in via... ti conosciamo nel frangere il pane... senza di te ogni cuore è un deserto". Una domenica di fine maggio, mentre ci si preparava alla messa, tuonò un temporale col cielo subito scuro. Padre David, già pronto con la casula bianca, disse alla gente «Andiamo a dare una mano a raccogliere, a salvare il fieno: la messa può aspettare».

Mercoledì canteremo anche il salmo 120, "Gli occhi miei sollevo ai monti", con là melodia che respira nella semplicità delle cinque note, diremo di Maria nel cantico "Te beata perché hai creduto"; reciteremo tutti insieme "Vieni, figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace..."; canteremo il dolore e la nostalgia dei deportati nel salmo 136 "Lungo i fiumi, laggiù, in Babilonia"; con l'organo liberato nella sua potenza si dialogherà nella festa del salmo 150 "Date lode al Signore, alleluia".

A Milano, in quel febbraio del 1992, poche ore prima di morire, padre David mi disse «Bepi, ti raccomando i salmi». E per non piangere gli ricordai quella mattina di domenica che a messa, vedendo un suo vecchio contadino in piedi con la moglie in fondo alla chiesa, scese dall'altare e, attraversando l'abbazia, li accompagnò a sedere nella sede, lo scranno del celebrante. Ecco perché mercoledì, alle 21, senza posti riservati e senza distinzioni, saremo un'unica, grande Assemblea Orante.

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