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Aprile 2005 - CONCERTI IN ROCCA con il pianista ANTONIO CAMPONOGARA

Beethoven alla rocca
Un'Appassionata per sognare Vienna

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Belle signore intorno all'Appassionata. La Rocca accoglie i pellegrinanti di Beethoven e di Schubert con un vento freddo che fa ondeggiare il glicine ancora serrato alle offerte della primavera. Il salone d'onore è al completo molto tempo prima che si manifesti la triade discendente in Fa minore. Belle signore, ragazze, giovanotti pensosi, uomini ringiovaniti nell'attesa dell'emozione pianistica, studenti di conservatorio. Anche le dolcissime suore francescane della scuola materna in uscita notturna.

Il secondo concerto che prosegue sulle rivelazioni della "forma sonata" intona il pianissimo in ottava del "Do, La bemolle, Fa". Cellula ritmica del turbamento, del desiderio, della passione. Ma chi si permetterebbe mai di cercarvi un secondo tema? Questo è Beethoven, signori del mondo, e la forma è lui, lui con le sue passioni e i suoi scatti d'ira. «L'ira dei sensi alle tue mani bianche», scriveva D'Annunzio alla sua Baccarà, la giovanissima pianista veneziana. La chiamava Smikrà. Si firmava Ariel.

Belle signore bionde oltre la porta del salone, fin sulla scala dei forti gradoni in pietra morta. Forse siamo a Vienna, nel sesto distretto, in Laimgrubengasse ventidue, nella più celebre tra le sessanta case abitate da Beethoven. Ma qui suona il Buono, il Sorridente, l'Inquieto, l'Arzignanese, il Ragazzo. Antonio Camponogara è nel suo elemento ideale: quello spazio chiamato "classico", magari impropriamente, che ha liberato la mai soddisfatta voglia di cantare del genio di Bonn e le "melodiose ebbrezze" schubertiane nei mille Lieder. Camponogara, lo sappiamo, si prodiga in accompagnamenti ai cantanti, si distrugge in concerti con le formazioni più avventurose. E al sabato si presta a fare da colonna sonora nelle strampalate liturgie matrimoniali. L'Appassionata gli è congeniale. «Stasera è in uno stato di grazia», scriverebbe il disinvolto in ovvietà. Apre il "tema della passione", come lo chiamava Backhaus, con un lievissimo trattenuto: è proprio l'approdo alla Passionalità. Poi è beatitudine.

Franz Schubert della Sonata in La maggiore. La "divina lunghezza" del mite innamorato. Ora saliamo a Grinzing, la collina del vino bianco della Mosella. Il panorama di Vienna è sereno, senza fumi cabalistici, senza svettamenti oltre lo "Steffl", il campanile di Santo Stefano. Sereno perché hanno perfino rispedito tra le sue montagne dorate il torvo Haider. Il primo movimento è tutto un cercare, nemmeno tanto avvincente, quasi intimorito dalla "forma" qua e là dichiarata. L'Andantino appoggia le note del canto fermo e prepara le variazioni. Camponogara ha il tocco della leggerezza. È perfino sognante. La vivacità dello Scherzo, quasi un'improvvisazione, una sfida tra le triadi maggiori. Poi il Rondo. Oh quanti pensieri, sublime cantore. Questo non è un Allegretto: questa è la storia dell'immensa e mai conclusa devozione beethoveniana. E Camponogara vi trasfonde la sua ottimistica sapienza, la sua tecnica sicura, la sua lucidità narrativa.

Le signore della Beethoven-Wohnung chiedono al Buono di suonare ancora. Antonio l'Arzignanese danza con la sfiancante Tarantella della Sonata in Do minore. Schubert partenopeo; c'è perfino il secondo grado abbassato della scala napoletana. Successo nel successo. Il salone si svuota lentamente. Ma le signore indugiano per un passaggio bisbigliante nella cantina del castello. Aspettano che si fermi il vento.

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