Belle signore intorno
all'Appassionata. La Rocca accoglie i pellegrinanti di Beethoven e di
Schubert con un vento freddo che fa ondeggiare il glicine
ancora serrato alle offerte della primavera. Il salone d'onore è al
completo molto tempo prima che si manifesti la triade discendente in Fa
minore. Belle signore, ragazze, giovanotti pensosi, uomini ringiovaniti
nell'attesa dell'emozione pianistica, studenti di conservatorio. Anche
le dolcissime suore francescane della scuola materna in uscita notturna.
Il secondo concerto che prosegue sulle rivelazioni della "forma sonata"
intona il pianissimo in ottava del "Do, La bemolle, Fa". Cellula ritmica
del turbamento, del desiderio, della passione. Ma chi si permetterebbe
mai di
cercarvi un secondo tema? Questo è Beethoven, signori del mondo, e la
forma è lui, lui con le sue passioni e i suoi scatti d'ira. «L'ira dei
sensi alle tue mani bianche», scriveva D'Annunzio alla sua Baccarà, la
giovanissima
pianista veneziana. La chiamava Smikrà. Si firmava Ariel.
Belle signore bionde oltre la porta del salone, fin sulla scala dei
forti gradoni in pietra morta. Forse siamo a Vienna, nel sesto
distretto, in Laimgrubengasse ventidue, nella più celebre tra le
sessanta case abitate da Beethoven. Ma qui suona il Buono, il
Sorridente, l'Inquieto, l'Arzignanese, il Ragazzo. Antonio Camponogara è
nel suo elemento ideale: quello spazio chiamato "classico", magari
impropriamente, che ha liberato la mai soddisfatta voglia di cantare del
genio di Bonn e le "melodiose ebbrezze" schubertiane nei mille Lieder.
Camponogara, lo sappiamo, si prodiga in accompagnamenti ai cantanti, si
distrugge in concerti con le formazioni più avventurose. E al sabato si
presta a fare da
colonna sonora nelle strampalate liturgie matrimoniali. L'Appassionata
gli è congeniale. «Stasera è in uno stato di grazia», scriverebbe il
disinvolto in ovvietà. Apre il "tema della passione", come lo chiamava
Backhaus, con un lievissimo trattenuto: è proprio l'approdo alla
Passionalità. Poi è beatitudine.
Franz Schubert della Sonata in La maggiore. La "divina lunghezza" del
mite innamorato. Ora saliamo a Grinzing, la collina del vino bianco
della Mosella. Il panorama di Vienna è sereno, senza fumi cabalistici,
senza svettamenti oltre lo "Steffl", il campanile di Santo Stefano.
Sereno perché hanno perfino rispedito tra le sue montagne dorate il
torvo Haider. Il primo movimento è tutto un cercare, nemmeno tanto
avvincente, quasi intimorito dalla "forma" qua e là dichiarata. L'Andantino
appoggia le note del canto fermo e prepara le variazioni. Camponogara ha
il tocco della leggerezza. È perfino sognante. La vivacità dello
Scherzo, quasi un'improvvisazione, una sfida tra le triadi maggiori. Poi
il Rondo. Oh quanti pensieri, sublime cantore. Questo non è un
Allegretto: questa è la storia dell'immensa e mai conclusa devozione
beethoveniana. E Camponogara vi trasfonde la sua ottimistica sapienza,
la sua tecnica sicura, la sua lucidità narrativa.
Le signore della Beethoven-Wohnung chiedono al Buono di suonare ancora.
Antonio l'Arzignanese danza con la sfiancante Tarantella della Sonata in
Do minore. Schubert partenopeo; c'è perfino il secondo grado abbassato
della scala napoletana. Successo nel successo.
Il salone si svuota lentamente. Ma le signore indugiano per un passaggio
bisbigliante nella cantina del castello. Aspettano che si fermi il
vento. |