|
|
|
|
|
|
|
articoli pubblicati su PUNTOVEST - Agosto
2002
|
|
Centrali termoelettriche
nella valle del Chiampo |
[indice] |
|
|
GLI IPOCRITI E GLI INGENUI |
|
LE FARANNO! |
|
di Bepi De Marzi |
|
Le faranno, le centrali, oh se
le faranno!
E la gente sarà indotta a pensare che sono indispensabili.
Cominceranno a far mancare la corrente elettrica nei momenti
in cui tutti i televisori sono accesi per qualcosa di
coinvolgente, come è accaduto durante i Mondiali di calcio.
Poi diranno magari che moriremo di freddo.
Poi inventeranno la storia dei frigoriferi e delle lavatrici
non più utilizzabili.
Diranno infine che le industrie dovranno chiudere.
E si arriverà immancabilmente a desiderare le orrende
ciminiere tra i campi della sempre più sacrificata
agricoltura, e si giustificherà l'incubo del rumore costante,
e si accetteranno le polveri diffuse, e ci si abituerà all'eterno
inquinamento.
La cosiddetta liberalizzazione delle centrali, concessa da
questo Governo, non prevede impedimenti. E lo sanno bene quei
personaggi che fingono di opporsi, magari partecipando alle
proteste, mescolandosi ipocritamente alle appassionate
espressioni della disperazione popolare.
Le centrali si faranno, stiamone certi: enormi, terribili,
minacciose. E saranno un ulteriore segno di questo Regime che
in un anno ha cancellato anni e anni di conquiste sociali e
ambientali: basti pensare all'umiliazione dei lavoratori, al
progressivo stravolgimento della sanità, alla situazione
grottesca della scuola, o anche solo all'improvvisa
liberalizzazione della caccia più distruttiva.
E' inutile arrivare ai cosiddetti governatori, ai presidenti,
ai senatori, ai sottosegretari, agli assessori o ai semplici
consiglieri: sono tutti servitori del Capo, sono tutti seduti
sulle poltrone conquistate con le promesse elettorali.
Sono questi i personaggi che permettono le centrali, sono
questi gli ipocriti che fingono di ascoltarci, mentre sanno
bene che i nostri inviti accorati, le nostre grida angosciate,
le nostre rabbie non contano assolutamente niente davanti alla
loro sicurezza, davanti al loro immenso potere. Le faranno, le
centrali, dove e come avevano prospettato da tempo, dove e
come è stato loro concesso da chi domani dirà che "ha
fatto tutto il possibile per impedirle".
Allora, forse, anche i più ingenui di noi, i più creduloni,
capiranno finalmente l'inganno. E spegneremo per sempre le
malinconiche fiaccole della speranza.
Le faranno, sì, le faranno! |
|
|
|
NON LE FARANNO! |
|
di Bepi De Marzi |
|
No, non le faranno.
Di chi sarà, allora, il merito? Dei
govematori-presidenti-senatori-sottosegretari-onorevoli che
non abbiamo mai visto?
C'erano diecimila cuori, mercoledì dieci luglio, a battere
trepidanti anche per gli altri centomila che vivono nelle
valli, sulle colline, negli slarghi che preludono alla
pianura.
Diecimila voci liberate lungo le strade, poi riflesse dalla
sacralità del maestoso duomo di Montecchio Maggiore.
II duomo, i nostri preti, i nostri parroci. Oh, se tutta la
Chiesa ritrovasse la capacità di commuoversi, di partecipare
alle giuste lotte sociali; se fosse capace di stare
definitivamente con i poveri del mondo, "con i
perseguitati e gli oppressi", come invitava il Vangelo
della passata domenica!
Questa sarà per noi tutti un'estate decisiva.
Il vescovo Nonis ha scritto del Nordest perfino troppo ricco,
giunto alla soglia del collasso. E ha sottolineato, quasi con
angoscia, l'umiliazione dell'agricoltura sacrificata alla
cementificazione delle campagne.
Non le faranno, no, le centrali, perché molti dei giovani più
decisi che abbiamo visto a Montecchio Maggiore hanno mani
contadine e occhi trasparenti, onesti, profondi e puliti come
le stagioni che devono riprendere il loro corso.
Perché intorno a loro c'erano altri giovani altrettanto
decisi, ragazze e ragazzi bellissimi, che gridavano la
speranza e la rabbia, che danzavano il passaggio luminoso del
giorno alla sera e alla notte dei sogni; che suonavano, come
gli dei dei grandi orizzonti, i tamburi e i corni e i sonagli
del vento incorruttibile.
No, non le faranno, le centrali dell'orrore; non pianteranno
nei nostri prati, tra i nostri fiumi, accanto alle nostre case
dell'antica armonia contadina, i mostri dell'arroganza e della
speculazione.
Con i giovani c'erano famiglie intere, poi tanti bambini, e le
nonne, e i nonni. Poi gli stranieri con gli abiti delle terre
lontane: anche loro a gridare con noi, noi che li abbiamo
accolti, noi che li proteggeremo dalle intolleranze e dalle
volgarità di chi, con leggi xenofobe e anti-cristiane, li
vorrebbe rimandare a casa.
E c'erano i rostri sindaci con la fascia tricolore, tanti,
gomito a gomito, con lo stesso passo e gli stessi pensieri,
finalmente uniti per un grande ideale.
Per tutto questo, no, non le faranno mai.
Alle loro macchine distruttrici opporremo i nostri trattori,
le nostre macchine della pace nella battaglia contro
l'egoismo.
Faremo ruotare le luci come stelle comete intorno alle nostre
case, alle contrade, lungo le colline che cantano la tenerezza
delle colture e la felicità di vivere.
E continueremo a lavorare sereni, a credere, ad amare.
A sperare. |
|
|
|
|
|
|
LE RAGIONI DEL BUON SENSO |
|
di Stefano Frighetto |
|
Certo, l'attività politica, a qualsiasi livello essa venga esercitata, è arte del compromesso. Mai come oggi, tuttavia, essa sembra manifestarsi come arte dell'immagine, dell'uso accorto dei mezzi di comunicazione e della loro capacità persuasiva. E' come se l'attività dell'uomo politico si svolgesse su due piani paralleli. Il piano "ufficiale" delle promesse elettorali e delle pubbliche dichiarazioni, e il piano "sotterraneo", più o meno nascosto alla vista dei "più", giocato su complessi equilibri di potere, di interesse e di scambio di favori pubblici e privati. Il volto "mediatico" della politica si dimostra spesso incoerente rispetto alle concrete scelte prese nell'ambito dell'attività amministrativa e di governo e solo eventi ad ampio coinvolgimento dell'opinione pubblica possono mettere l'uomo politico di fronte alla propria contraddittorietà (quella che i politici chiamano "dialettica"). L'atteso "no" di Galan alla costruzione delle centrali termoelettriche sul territorio vicentino, dopo il riuscitissimo corteo del 10 luglio (mai vista a Montecchio Maggiore cosi tanta gente riunita in una manifestazione di piazza), rappresenta oggi un importante punto di svolta della politica veneta. Quanto può pesare ancora il bene primario della salute dei cittadini rispetto al bacino di voti dell'Ovest vicentino al centrodestra di Galan? Quanto può ancora incidere il buon senso su una prassi politica sempre più vittima della sensazionalità del "fare" rispetto alla necessità di salvaguardia dell'equilibrio ambientale del territorio?
L'eventuale costruzione di tali impianti segnerebbe una sconfitta non tanto degli encomiabili Comitati Anticentrale e dei loro sostenitori, riusciti a sensibilizzare in modo incisivo e diffuso la spesso sonnacchiosa e passiva opinione pubblica locale. Ad uscire perdente sarebbe una nostra flebile speranza: la speranza che la società civile e le ragioni del buon senso possano avere aricora un margine di influenza sulla "ragion di stato", sulla "pubblica utilità", da sempre quest'ultime, pessime protagoniste delle peggiori pagine della nostra storia nazionale. |
|
|
|
[indice] |
|
|
|