La gente si chiede «quando toglieranno le impalcature». Il maestro Bepi
De Marzi, che è nato proprio qui, si ferma sconcertato e toma a guardare
qualcosa che gli appare inaccettabile.
«Ma ciò che la gente chiama impalcature -
sottolinea -
fa parte dell'intervento che ha coinvolto il borgo medievale di Castello di
Arzignano, mutando la tradizionale situazione ambientale, ma soprattutto condizionando la vita
degli abitanti. Impalcature, dunque, vistose, imponenti e, pensiamo, anche
molto costose, visto il delicato materiale, dovrebbero essere un percorso
didattico per chi intende camminare sulle alte mura, lungo un inventato cammino di ronda».
Poi ci sono le panchine, i sentari di pietra, come li
definisce il musicista-scrittore. Bepi De Marzi apre le braccia
sconsolato: «Quasi quaranta sentari da quattro posti l'uno: dove troveremo tanti
sedentari?».
Effettivamente le panchine sono, dopo le cosiddette impalcature, il fatto
più impressionante. Quasi tutte al sole, disseminate qua e là, oppure in
lunga fila come tombe di un cimitero.
«Ecco qui il cimitero della caduta del gusto: questo è kitsch autentico,
uno spreco inspiegabile, quasi comico; neanche Central Park ha tanta abbondanza di
sentari - prosegue De Marzi - di pietra, poi, e sotto il sole, a fianco del traffico, tranne
quelli addossati alla chiesa, attaccati ai muri, immagino senza nemmeno chiedere un
permesso alla parrocchia, che so, all'arciprete, al consiglio pastorale. Questa è l'ultima
delle violenze che Castello ha dovuto subire lungo i secoli».
Intanto passano le automobili e, nonostante le carraie di trachite, il
rumore e il traballìo sono intensi. «I ciottoli appena piantati si stanno già
levando. La gente è più sconsolata di me: non si sa se ridere o se piangere».
Poi c'è il coperchio di Porta Calavena: «Le
due colonnine, che certamente, quando hanno trasformato provvisoriamente
la Porta in campanile, erano una soluzione di fortuna, prese da chissà dove,
sono state leziosamente ripristinate secondo una vecchia fotografia. Spaventoso!».
- Ma di chi è la colpa?
«La Soprintendenza di
Verona deve essere in vacanza da qualche anno - sorride amaramente De Marzi - perché non
ha nemmeno risposto a una mia documentata osservazione, prima della
seconda parte del lavori. Qualcuno dice di chiamare Sgarbi. Ma qui Sgarbi
rischierebbe di svenire imprecando, oppure di mettersi a ridere senza
fermarsi più».
«Considero gli architetti degli artisti, ma davanti
alle opere d'arte si deve poter esprimere ammirazione o dissenso. Poi,
negli arredi urbani, si deve privilegiare la funzionalità. Qui è mancata proprio
l'attenzione della Soprintendenza a ciò che si stava realizzando».
«Ci sono originalità indiscutibili, magari anche buone intenzioni; ma
prevalgono le stranezze e le ingenuità, come il fatto di non tener conto che la
gente che va in chiesa viene quasi tutta dalle colline, dalle contrade, e che gli
anziani e i disabili dovrebbero poter arrivare in auto il più vicino possibile
all'ingresso. Invece, niente: anche il sagrato appare come una bizzarra
fantasia».
«L'errore di base è non essere partiti dalla
considerazione che Castello è un luogo abitato! Ora è diventato irreparabilmente
un cimitero».
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